07 novembre 2009

Et dona ferentes

Google + Linux

Mi scuso per questo articolo vagamente tecnico, ma credo che possa contribuire a un dibattito interessante. Neanch'io ho un'opinione netta in proposito, e cercherò di presentare più punti di vista.

La discussione è scaturita durante i preparativi per il Linux Day pratese. Per pubblicizzare l'evento e farne la cronaca in diretta i linuxari pratesi si sono affidati a due servizi diventati ormai di uso quotidiano: Twitter, il servizio di microblogging che permette di “cinguettare” al mondo i propri pensieri, e Facebook, la soluzione vincente che è riuscita a trasformare internet in quello a cui da sempre era destinato: il regno del cazzeggio. La pura perdita di tempo e il farsi gli affari altrui infine vittoriosa su ogni altro utilizzo della rete sbandierato nel tempo (la ricerca scientifica, l'informazione, la discussione e finanche lo shopping)

Nessuna preclusione o senso di superiorità, verso questi strumenti, che comunque anch'io utilizzo (twitter no, o non ancora...) a volte anche con soddisfazione. Mi domandavo soltanto quanto fosse opportuno che un'associazione che per statuto promuove l'utilizzo del software libero si affidasse a dei servizi che liberi e aperti non sono per nulla. Non lo dico per un estremismo “freesoftwarista” inutile se non dannoso, che oltretutto non avrei nessun diritto di propugnare, dato che sul lavoro sono costretto ad utilizzare il malvagio Windows mentre sul mio portatile gira un proprietarissimo per quanto efficientissimo Mac OS X. Volevo invece partire da questa provocazione, per stimolare una riflessione sull'opportunità e forse la necessità di ripensare la concezione di software libero.

La definizione di software libero che il fondatore del movimento Richard Stallman ripeterà fino alla morte (che probabilmente lo coglierà mentre per la 2^18 volta ripete la sceneggiata di St IGNUcius con l'aureola in testa) richiede di soddisfare quattro libertà fondamentali:

  • Libertà di eseguire il programma per qualsiasi scopo (chiamata "libertà 0")
  • Libertà di studiare il programma e modificarlo ("libertà 1")
  • Libertà di copiare il programma in modo da aiutare il prossimo ("libertà 2")
  • Libertà di migliorare il programma e di distribuirne pubblicamente i miglioramenti, in modo tale che tutta la comunità ne tragga beneficio ("libertà 3")

Quando queste libertà sono state formulate, non c'era dubbio che il software a cui ci si riferiva fosse quello che viene eseguito in locale sul nostro computer. Anche con l'avvento del Web non ci si preoccupò dei servizi forniti dai vari siti, motori di ricerca, server mail, eccetera. Non ci si pose nemmeno il problema di determinare se questi servizi fossero aperti, fu già una grande vittoria che il World Wide Web fosse nato utilizzando protocolli aperti e liberamente implementabili (in realtà proprio questa fu la ragione del successo del Web) .

A prima vista il discorso non fa una piega. Anche il più estremista partigiano del software libero non si rifiuta di utilizzare Google per principio, anche se il codice dell'algoritmo utilizzato da Google per effettuare le ricerche o per determinare il ranking (posizionamento nella lista dei risultati) di una pagina è tutt'altro che aperto ed anzi è gelosamente custodito e protetto dal più stretto segreto industriale.
Non lo consideriamo un problema, finché possiamo accedere a Google utilizzando un client (browser) libero, come ad esempio Firefox, che comunica attraverso un protocollo aperto quale http.

Ma qual è il futuro della nostra interazione con gli strumenti informatici? La tendenza, a detta di tutti, e per quanto possa fare Microsoft per cercare di impedirlo, è quella del Software As Service. Sempre di più l'esecuzione delle applicazioni che utilizziamo ogni giorno si sposterà dal sistema operativo al web. Naturalmente Google è il leader di questa tendenza, con applicazioni sofisticate come Gmail o Google Docs. Per permettere l'esecuzione di applicazioni nel browser web, originariamente pensato per visualizzare pagine statiche scaricate in una sola sessione da un server remoto, Google ha puntato sul potenziamento del linguaggio Javascript, pensato per introdurre piccoli elementi interattivi nelle pagine ma che ha ormai raggiunto a una tale velocità di esecuzione da poter competere con il codice compilato.

Per “migliorare l'esperienza web degli utenti” come amano dire a Google, BigG ha progettato e realizzato un nuovo browser web, Chrome, che sfrutta al massimo la tecnologia Javascript e che tende a ridurre l'interfaccia intorno alla pagina all'essenziale, secondo il design minimalista di Google. Il fine ultimo è di rendere il browser lo strumento base di interazione con il computer, che sostituisca la funzione che ormai in tutti i sistemi operativi moderni (compreso Linux) è svolta dalla metafora del desktop. Il punto interessante è che Chrome utilizza componenti provenienti dal software libero, tra cui lo stesso Firefox e il motore di rendering libero WebKit, che è alla base di Safari, il browser della Apple.

Chrome è stato rilasciato come software libero e la comunità open source è stata coinvolta nello sviluppo e nel miglioramento del prodotto. Tutto meraviglioso allora? Il movimento del free software deve essere grato a Google per questo e deve schierarsi con Mountain View nella guerra contro la perfida azienda di Redmond? Fermiamoci un attimo a ragionare e ricordiamoci i versi di Virgilio: Timeo Googles et dona ferentes, cioè “temo quelli di Google anche quando portano doni”.

Il prossimo passo di BigG è già stato dichiarato: il sistema operativo Chrome OS. Basato su Linux e quindi software libero, pensato originariamente per i piccoli netbook ma in prospettiva adatto a qualunque computer desktop o laptop, sarà un sistema operativo con una missione semplice: portare l'utente nel minor tempo possibile (pochi secondi) sul web.

Quindi kernel linux minimale, accordi con le maggiori case produttrici di hardware per fornire dei driver efficienti che permettano all'utente medio di interagire con stampanti, scanner, telefonini, iPod, iPhone e tutte le diavolerie che ci aspettano nei prossimi anni con il minor sforzo possibile. E soprattutto un sistema che permetta di lanciare immediatamente il browser (evidentemente Chrome) che ci proietterà sul web a velocità supersoniche permettendoci di accedere a Google, a tutti gli altri siti e a...

Sì certo, ma poi con questo computer cosa ci faccio, oltre a leggere il sito di Repubblica per sapere chi si è spogliato oggi, e per quale motivo, nobile o meno nobile? Come faccio a controllare la mia mail, a scrivere il documento di programmazione aziendale che il capo aspetta per domani, la ricetta della torta di mele o il mio prossimo romanzo? Come faccio a disegnare il grafico dell'andamento dell'occupazione per scoprire se mi manderanno in cassa integrazione questo mese o il prossimo? Con cosa la faccio la presentazione per illustrare la strategia innovativa per esportare il buisness della piadina romagnola in Cina? Dove salvo le foto delle vacanze a Sharm El Sheik e del viaggio di nozze alle Maldive?

La risposta è semplice: per guardare la posta utilizzerò Gmail, Google Docs fornisce un ottimo programma di videoscrittura, un foglio di calcolo tipo Excel, un gestore di presentazioni tipo Power Point. Per le foto c'è Picasa. I miei documenti staranno tutti sul web, accessibilissimi da qualunque postazione al mondo e protetti dalla sicurissima password con il nome della fidanzata, del cane o del canarino. Tutti questi programmi sono gratuiti, semplici da utilizzare, innovativi, affidabili.

Meraviglioso no? Comodo? Senz'altro. Migliore di Microsoft? Senza dubbio. Libero? Ehmmm...

Dipende.

Secondo la concezione classica sì. Utilizzeremo un sistema operativo libero (Chrome OS), un browser libero (Chrome). Quello che non è libero, è semplicemente un servizio. Come Google, come Yahoo, come repubblica.it, cnn.com, facebook, twitter o blogspot.

Ma dov'è il codice sorgente delle applicazioni che utilizzeremo? Dove sta la nostra libertà di utilizzarle per qualunque scopo, di modificarle, di ridistribuirle? Chi garantisce la privacy dei nostri documenti, tutti custoditi su grandi server da qualche parte in California o Google solo sa dove? Dove la nostra libertà di non essere sommersi da “intelligenti e poco invasive” pubblicità che scandagliano scientificamente le nostre abitudini, i nostri gusti, le nostre opinioni, inclinazioni e passioni con lo scopo di farci comprare quello che, secondo un sofisticato algoritmo, necessariamente desideriamo?

02 novembre 2009

Ancora cantiamo

alessandro santoro


Ieri don Alessandro Santoro, prete delle Piagge, sollevato dal vescovo per aver unito in matrimonio Sandra e Fortunato ha celebrato la sua ultima messa al centro sociale di via Lombardia.






Cita più volte questa canzone, don Alessandro Santoro. Ancora cantiamo, ancora sogniamo, ancora resistiamo, ancora andiamo avanti. Il peccato peggiore, dice, è quello di aggettivare le persone, di etichettarle. Quello è omosessuale, quello è transessuale, povero, quello è rom, straniero, immigrato, musulmano, diverso. Mentre nella sua esperienza, da quando quindici anni fa esatti arrivò in punta di piedi alla comunità delle Piagge, Alessandro ha incontrato molte persone, ognuna con una sua storia, un suo percorso, le sue battute d'arresto e la sua capacità di rialzarsi. Quelle persone che il vescovo Betori si è rifiutato di incontrare, sia prima che dopo questa decisione così platealmente ingiusta, presa dalle stanze dorate di un bel palazzo fiorentino. E quelle parole del Vangelo, lette ogni domenica in cattedrali, chiese e chiesette, suonavano infinitamente più vere in quel prato davanti ad una"baracca", interrotte dal frastuono degli aerei che atterrano, ascoltate da tantissime persone vere, variopinte e commosse.

04 ottobre 2009

Scuse tardive


Lo scorso 10 settembre, con la tempestività degna di un papa, il premier britannico Gordon Brown ha letto una dichiarazione di scuse ufficiali verso Alan Turing, uno dei più importanti scienziati del '900, uno dei padri dell'informatica.

Nel 1952 Turing aveva denunciato alla polizia un furto subito in casa grazie alla complicità di Arnold Murray. Durante l'indagine, Turing ammise di essere omosessuale e che Murray era stato il suo amante. Fu per questo imputato di "grave indecenza e perversione sessuale" (l'omosessualità era un reato nel Regno Unito dell'epoca), la stessa accusa contestata a Oscar Wilde più di cinquant'anni prima. Si difese affermando che non scorgeva niente di male nelle sue azioni. Fu condannato a un "trattamento ormonale" che gli causò importanti alterazioni fisiche (la crescita del seno) e l'impotenza. Morì misteriosamente due anni dopo, si dice per aver mangiato una mela avvelenata, come nella favola di Biancaneve, da lui adorata fin da bambino.

Questo fu il trattamento riservato dalla Gran Bretagna a una delle migliori menti del secolo, che aveva avuto un ruolo determinante nella vittoria sui nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale.

L'esercito tedesco utilizzava un complicato sistema crittografico, chiamato Enigma, che permetteva di trasmettere messaggi cifrati. La macchina crittografica somigliava a una normale macchina da scrivere in cui si digitava il messaggio cifrato. Un complicato sistema di tre dischi cablati con 26 contatti per lato (quante le lettere dell'alfabeto tedesco) permetteva, una volta posizionati i rotori secondo l'opportuna chiave, di ricostruire il messaggio in chiaro, le cui lettere venivano illuminate su un'apposita "tastiera luminosa" di output. La chiave cambiava ogni giorno secondo un cifrario segreto che veniva distribuito a tutte le postazioni dotate di Enigma. In realtà la chiave del giorno veniva utilizzata solo per trasmettere una prima parte convenzionale, che determinava poi la posizione dei rotori da utilizzare per decifrare il messaggio vero e proprio. Questa debolezza permise al matematico polacco Rejewski di sviluppare un metodo matematico che permetteva di ridurre i milioni di chiavi a "solo" 17.576. Questo numero ridotto rendeva il problema abbordabile in un tempo ragionevole e permise ai servizi segreti polacchi di costruire la macchina detta Bomba che provava le varie chiavi indovinando quella giusta.

In seguito i tedeschi perfezionarono il metodo e il lavoro di decrittazione fu trasferito agli inglesi.
Il giovane Turing si rese conto che poteva usare parole che sicuramente apparivano in un certo messaggio per decifrare la chiave del giorno. Per esempio alle 6 di mattina i tedeschi inviavano sempre un messaggio sulle condizioni meteo che sicuramente conteneva le parole "tempo", "sole", "nubi" eccetera. Basandosi su queste parole si poteva decifrare la chiave del giorno e quindi tutti i messaggi trasmessi nelle successive ventiquattro ore.

Grazie al lavoro del gruppo, gli inglesi conoscevano in anticipo gli spostamenti dei sottomarini tedeschi e potevano evitare la distruzione delle navi inglesi. Probabilmente senza questo lavoro di intelligence la guerra sarebbe durata qualche anno in più, e forse il suo esito avrebbe potuto essere diverso.

Ma questi meriti non salvarono il brillante matematico inglese dalla persecuzione, meno di dieci anni dopo.

Turing è passato alla storia per aver ideato il famoso test per determinare se una macchina sia in grado di pensare. Morì vittima non dell'intelligenza delle macchine, ma della stupidità degli umani.

05 luglio 2009

L'Atomo

atom

La gloria dell'atomo
domanda una parola riverente
il disegno primario
dell'intero universo
Sì, cantiamone le lodi
chiniamo il capo in preghiera
alla magnifica coscienza
in esso incarnata

la più piccola unità della materia
con gli elettroni che orbitano
e che fanno eco al sistema solare
come un falco sulle montagne all'alba
la più piccola unità della materia
che unisce l'uccello e la pietra e l'albero
e te e me

Oh, benedetto è l'atomo
il vero disegno intelligente
al quale tutta l'evoluzione
è graziosamente allineata
la una e unica struttura
a cui tutto distilla
l'aria
il fumo dal legno
e le colline

Lasciami qui circondata
da tutto ciò che è reale
ben al di là dei confini
della sofferenza digitalizzata
lasciami qui sveglia
lasciami qui a guarire

Gli esseri umani sono un incrocio
tra le scimmie e le formiche
ci vedi dalla tua nave spaziale
come sciogliamo le calotte polari
con la nostra arroganza
convocate un congresso di angeli
in tenuta antisommossa
ci siamo messi in una situazione grave
quaggiù

Ho questo prozio
che ha lavorato alla bomba atomica
ha avuto un premio nobel per la fisica
e un posto in questa canzone
e scommetto che non c'erano finestre
né donne nella stanza
quando si sono dedicati
alla pura scienza del
bum

Sì, pasticciare con l'atomo
è la più alta forma di blasfemia
sia che tu stia facendo armi
o semplice elettricità
qualcuno mi ha forgiato un pulpito
sono stata chiamata ad impegnarmi
con gli eretici maniacali
dell'era nucleare!

Che i religiosi ottengano la religione
i consumatori un'informazione
gli scienziati una prospettiva
gli attivisti quello che gli spetta
Che l'industria ottenga una coscienza
che i miti ereditino la terra
che la divinità della natura parli

La gloria dell'atomo
domanda una parola riverente
il disegno primario
dell'intero universo
Sì, cantiamone le lodi
chiniamo il capo in preghiera
alla magnifica coscienza
in esso incarnata

Ani Di Franco - The Atom - da "The Red Letter Year" 2008 - ascolta

06 maggio 2009

Happy Birthday, Pete

Pete & the Boss

Il 3 maggio scorso Pete Seeger ha festeggiato i suoi 90 anni con un concerto al Madison Square Garden di New York a cui hanno partecipato moltissimi artisti. Questo è il discorso che Bruce Springsteen ha tenuto in questa occasione:

Mentre io e Pete viaggiavamo verso Washington per la cerimonia di insediamento del presidente Obama, mi ha raccontato l'intera storia di "We Shall Overcome", di come si sia trasformata in una canzone del movimento operaio e poi, grazie all'estro di Pete, sia stata adottata dal movimento per i diritti civili.

E quel giorno, mentre cantavamo "This Land Is Your Land" ho guardato Pete. Il primo presidente nero degli Stati Uniti era seduto alla sua destra. E ho pensato al viaggio incredibile che aveva fatto Pete. Sapete, la mia stessa esperienza, l'essere cresciuto negli anni '60 in una città segnata dalle rivolte razziali, rendeva quel momento qualcosa di difficile da credere. E Pete aveva alle spalle trenta anni più di me di lotte e di vero attivismo. Era così felice quel giorno. Era un po' come dirgli "Pete, sei vissuto più di quei bastardi. Li hai seppelliti." È stato così bello. Così bello.

Alle prove il giorno prima, faceva un freddo cane. Erano tipo 10 gradi sottozero. E Pete stava là con addosso la sua camicia di flanella. Gli ho detto: "Ehi, faresti bene a metterti addosso qualcosa oltre alla camicia!", e mi fa "Sì ho la calzamaglia e la maglietta sotto questa roba".
Poi gli ho chiesto: "Come vuoi affrontare 'This Land Is Your Land'?" visto che sarebbe stata quasi alla fine dello spettacolo. E tutto quello che ha detto è stato: "Beh, so che voglio cantare tutte le strofe, tutte quelle che scrisse Woody, soprattutto le due che furono tolte, quelle sulla proprietà privata e sull'ufficio sussidi". E ho pensato, certo, è normale. Questo è quello che Pete ha fatto per tutta la vita: canta sempre tutte le strofe ogni volta, soprattutto quelle che ci piacerebbe lasciare da parte, quegli episodi della storia del nostro popolo che ci farebbe comodo ignorare.

Ad un certo punto, Pete Seeger ha deciso che sarebbe stato una memoria vivente e cantante di tutta la storia americana. Sarebbe stato l'archivio vivente della musica e della coscienza americana, una dimostrazione del potere della canzone e della cultura di guidare la storia, di spingere gli eventi americani verso fini più umani e giusti. Ha deciso che avrebbe avuto il coraggio e l'audacia di essere la voce della gente.

Ora nonostante l'aspetto da nonno benevolo di Pete, sapete, lui è una creatura di un ottimismo testardo, ribelle e cattivo. Porta dentro di sé una durezza d'acciaio che smentisce questa facciata da nonno buono, e che non lo fa indietreggiare di un passo dai principi in cui crede.

A novant'anni, rimane un pugnale piantato nel cuore delle illusioni che il nostro paese ha di sé stesso. Pete Seeger canta ancora tutte le strofe ogni volta, e ci ricorda i nostri immensi fallimenti, oltre a puntare una luce verso i nostri migliori angeli all'orizzonte, dove il paese che abbiamo immaginato e tenuto caro, speriamo, ci aspetta. E oltretutto non fa pesare questo suo ruolo per niente. Questo ruolo è diventato per lui qualcosa di naturale e disinvolto. E' una persona divertente e molto eccentrica.

La canzone che... - ora faccio uscire Tommy - e la canzone che Tom Morello ed io stiamo per cantare l'ho scritta a metà degli anni '90 ed è nata come una sorta di conversazione con me stesso. E' stato un modo di ritrovare le mie radici. E l'ultima strofa della canzone è il bellissimo discorso che Tom Joad sussurra alla madre alla fine di Furore (The Grapes of Wrath). Dice "dovunque un poliziotto picchia una persona, dovunque un bambino nasce gridando per la fame dovunque c'è una lotta contro il sangue e l'odio nell'aria cercami, mamma, e io ci sarò.". Ebbene, Pete c'è sempre stato. Sempre.



La traduzione è mia. La trascrizione proviene dal (super consigliato) speciale di Democracy Now
.

26 aprile 2009

An American Tune

Bruce Springsteen ha recentemente affermato di aver passato gran parte della sua carriera di musicista a "misurare la distanza tra il sogno americano e la realtà americana". Anche questa bellissima canzone di Paul Simon, scritta nel 1973 all'indomani della rielezione di Nixon, cerca di fare i conti con questa distanza, forse incolmabile.

Molte sono le volte che mi sono sbagliato
E molte volte mi sono ritrovato disorientato
Sì, e spesso mi sono sentito abbandonato
e sicuramente maltrattato
Ma va tutto bene, tutto bene
Sono solo stanco fin nelle ossa
Tuttavia, non ti aspetti di essere
brillante e bon vivant
Così lontano da casa
Così lontano da casa

E non conosco un'anima che non sia stata colpita
Non ho un amico che si senta a suo agio
Non conosco un sogno che non sia stato infranto
oppure messo in ginocchio
Ma va tutto bene, tutto bene
Abbiamo vissuto così bene così a lungo
Certo, quando penso alla strada
che stiamo percorrendo
Mi domando cos'è andato storto
Non posso farne a meno
mi domando cos'è andato storto

E ho sognato di morire
E ho sognato che la mia anima si sollevasse
inaspettatamente
E guardando in basso verso di me
sorridesse riassicurante
E ho sognato di volare
E da lassù in alto potevo vedere chiaramente
la Statua della Libertà
che navigava via sul mare
E ho sognato di volare

Veniamo sulla nave che chiamano Mayflower
Veniamo sulla nave che salpò per la Luna
Arriviamo nei momenti più incerti
e cantiamo una melodia americana
Ma va tutto bene, tutto bene
Non si può essere sempre baciati dalla fortuna
Però domani sarà un altro giorno di lavoro
E sto solo cercando di riposarmi un po'
questo è tutto, sto solo cercando di riposarmi un po'



La bellissima melodia di questa canzone non è per niente americana, infatti è ripresa dalla Passione secondo Matteo di Bach. Ma anche Bach l'aveva copiata, dal compositore barocco Hans Leo Assler, e quest'ultimo chissà da chi...

22 aprile 2009

Powers & Supplies: 9. Chi ha ucciso Fernanda Pereira?

"Ho cominciato a scrivere nel marzo '78, mosso da un'idea seminale.
Avevo voglia di avvelenare un monaco."
(Umberto Eco, a proposito de Il nome della rosa)

"Conosce Twin Peaks, ispettore?"
"Sta parlando del telefilm degli anni '90?"
"Proprio quello. E lo sa qual è la chiave di Twin Peaks?"
"No la prego... non mi sveli chi ha ucciso Laura Palmer!"
"Laura Palmer no... ma forse posso dirle chi ha ucciso Fernanda Pereira. La chiave per capire Twin Peaks sono i doppi. Come le montagne gemelle che danno il nome al villaggio, Laura e la cugina quasi identica, le due metà della medaglia a forma di cuore... e un assassino con una doppia personalità!"
"Per favore non mi dica chi è l'assassino. Ancora non ho finito di vedere la prima serie!"
"L'assassino è lei, ispettore. Non di Laura Palmer, naturalmente. Della signora Pereira. Voglio dire non precisamente Laurent Varrin, ma una sua doppia personalità. Come ad ogni particella di materia corrisponde un'altra identica ma di carica opposta, anche lei ha un suo doppio. Una sorta di anti-Varrin. Era lui che poco fa cercava di disseminare prove schiaccianti contro questo povero ragazzo innocente. Il suo ego oscilla come un neutrino tra le due personalità e il vero Varrin si è ritrovato a indagare su un delitto commesso da lui stesso!"
"Sta scherzando...", cominciò Varrin, ma in quel momento qualcos'altro prese il controllo del suo corpo e gli fece contrarre la bocca in un'orribile smorfia. L'anti-Varrin non pensò certo a presentarsi, ma dato che per comodità un nome dobbiamo pur darglielo, lo chiameremo Hannibal Higgs.

Hannibal Higgs montò sul furgoncino del CERN e partì a tutta velocità per dirigersi verso l'entrata B. Osservò l'ago del tachimetro, che sfiorava i cento chilometri orari. All'incrocio tra route Einstein e route Pauli svoltò a sinistra a tutta velocità, senza curarsi dello stop. Un altro camioncino stava procedendo in direzione opposta. Lo scontro fu inevitabile. La vettura di Hannibal si ribaltò su un fianco.

Incidente rue Pauli

Dall'altra macchina scese, spaventatissima, Irene. Nelle situazioni difficili di solito reagiva mettendosi a ridere in maniera incontrollata. A dire il vero le succedeva spesso di mettersi a ridere fragorosamente, e non solo nelle situazioni difficili. "Lo siento, lo siento muchissimo..." riuscì a scusarsi tra le risate, "Je suis désolée... I'm sorry... è che ho preso la patente in America ed ancora con queste marce non..."

Varrin/Hannibal non la degnò di uno sguardo e si allontanò di corsa. Uscito dal CERN, attraversò la strada. Dall'altra parte si trovava l'accesso alla caverna di ATLAS.
Un'inspiegabile irrazionalità spinge i protagonisti di alcuni film americani di serie B a fuggire verso i piani alti dei grattacieli, che immancabilmente diventano teatro di spettacolari inseguimenti e sparatorie. Per lo stesso motivo, il mostro si diresse verso l'ascensore che permetteva l'accesso alla caverna. Cento metri più in basso un imponente rivelatore era (quasi) pronto ad esplorare i segreti più intimi della materia.

Il professor Garrigs, seguito da Konrad Reinhard e colleghi, raggiunse la caverna di ATLAS. La scena che gli si presentò costituiva un serio problema di safety. L'ispettor Varrin, ancora completamente posseduto da Hannibal, si era arrampicato sull'end-cap del rivelatore.
"Si fermi Varrin!" gridò il professore
"L'ho fatto per vendicare tutti quelli che non riuscivano a trovare casa, che aspettavano settimane per avere una risposta da queste maledette agenzie. Ha avuto solo quello che si merita!"
"Ma la colpa è del sistema, non di una singola agente immobiliare..."

L'obiezione del professore non ebbe risposta. Hannibal si buttò nel vuoto, rimbalzò su un impalcatura, trascinò con sé la beam pipe proprio quando l'installazione poteva dirsi completata, e si sfracellò al suolo.

"Non può finire così", disse Giovanni Nepero, "è una storia senza senso."
E forse aveva ragione. Non c'era un senso, ma solo un'idea seminale. La voglia di uccidere un'agente immobiliare ginevrina.

(9 - fine)


Per chi volesse si può anche scaricare il "romanzo" completo in un unico file PDF

16 gennaio 2009

Un umile programmatore

Edsger W. Dijkstra

Quando erano già tre anni circa che programmavo, ebbi modo di discutere con A. van Wijngaarden, che all'epoca era il mio capo al Centro di Ricerca in Matematica ad Amsterdam, una discussione per cui gli sarò grato per la vita.

Il mio problema era che, oltre a programmare, avrei dovuto allo stesso tempo studiare fisica teorica all'università di Leida e, dato che le due attività mi risultavano sempre più difficili da conciliare, dovevo prendere una decisione.

O smettevo di programmare per diventare un vero, rispettabile fisico teorico, oppure potevo completare i miei studi di fisica a livello formale, con il minimo sforzo, per poi diventare..., sì ma che cosa? un programmatore?
Ma si trattava di una professione rispettabile? Perché dopo tutto che cosa voleva dire programmare? dov'era quel solido corpo di conoscenze che poteva fare della programmazione una disciplina intellettualmente rispettabile?

Mi ricordo abbastanza bene come invidiassi i miei colleghi che si occupavano di hardware, i quali, interrogati sulle loro competenze professionali, potevano almeno far presente che sapevano tutto dei tubi a vuoto, degli amplificatori e di tutto il resto, mentre a me pareva che, di fronte alla stessa domanda, io sarei rimasto a mani vuote.

Timoroso come non mai, bussai quindi alla porta di van Wijngaarden, chiedendogli se potevo "parlargli un momento"; quando lasciai il suo ufficio diverse ore più tardi, ero una persona nuova. Perché lui, dopo aver ascoltato pazientemente i miei problemi, si disse d'accordo sul fatto che, fino a quel momento, non esisteva una vera e propria disciplina della programmazione, ma poi continuò spiegando a bassa voce che i computer sarebbero durati a lungo, che eravamo soltanto agli inizi... E non potevo essere io una di quelle persone chiamate a fare della programmazione una disciplina rispettabile negli anni a venire? Questo fu un punto di svolta nella mia vita, e completai i miei studi di fisica il più velocemente possibile. Una possibile morale della storia, naturalmente, è che bisogna stare molto attenti a dare consigli ai più giovani; a volte li seguono!

Due anni più tardi, nel 1957, mi sposai. In Olanda per sposarsi bisogna dichiarare la propria professione, e io dichiarai di essere un "programmatore". Ma le autorità municipali della città di Amsterdam non accettarono questa definizione, con la motivazione che una professione del genere non esisteva. E, credeteci oppure no, ma alla voce "professione" il mio certificato di matrimonio riporta la ridicola definizione "fisico teorico"!

Edsger W. Dijkstra, The Humble Programmer, ACM Turing Lecture, 1972