17 novembre 2005

Musica di liberazione americana

Vista la scandalosa latitanza di un nuovo diario dei naviganti (sarà una crisi di ispirazione molto grave?) vi presento qui una piccola introduzione / recensione / delirio che ho scritto per il brano Not In Our Name di Charlie Haden and Liberation Music Orchestra, nel sito delle Canzoni contro la guerra. Liberissimi di non leggerlo... d'altra parte era difficile produrre qualcosa all'altezza dell'intervista a me stesso.... ehmm... scherzo.

Questo sito di canzoni contro la guerra deve fare i conti con due tipi di difficoltà intrinseche nel nostro lavoro di archivisti, catalogatori e commentatori di lavori di altri.
La prima difficoltà e contraddizione dovrebbe essere posta come avvertimento in cima ad ogni pagina deduicata ad ogni canzone e sottolineata cento volte e, se non lo facciamo, è solo perché è banalmente evidente. Nel sito raccogliamo i testi delle canzoni, offriamo quindi una presentazione inevitabilmente parziale di ciò di cui ci sforziamo di parlare. Detto brutalmente, la canzone sul sito si può leggere ma non si può ascoltare! Certo, cerchiamo in ogni modo di fornire i link alle registrazioni disponibili sul web (e dobbiamo ringraziare Alessandro ancora una volta per il suo lavoro di ricerca di mp3) ma spesso questo è impossibile e si scontra con le più o meno giuste leggi sul copyright.

Bob Dylan by Daniel Kramer Ricordo che al liceo ho fatto un tema su Bob Dylan. Era una delle tante volte che era venuto fuori la proposta, o forse solo la voce infondata, della possibilità di assegnare al più grande songwriter americano il Premio Nobel per la Letteratura. Mi pare che allora, con entusiasmo giovanile, avessi appoggiato con passione questa proposta, con discorsi fin troppo facili sull'assurdità di una divisione tra una poesia e una cultura di serie A ed una considerata di serie B solo perché legata al consumo di massa e perché si serviva di voce, armonica e chitarra invece che di una penna e un foglio. Cercavo anche di vedere in un eventuale nobel per Dylan (del quale all'epoca conoscevo giusto quella quindicina di canzoni più famose, pur essendo probabilmente nella mia classe il più preparato sull'argomento...) anche un dovuto riconoscimento a tutti i vari cantautori e cantanti di musica più o meno leggera con qualcosa da dire e che sarebbero stati contenti di vedere premiato il loro illustre collega. Mi ero spinto addirittura in improbabili paralleli con la poesia classica, che, a quanto ci dicono, era cantata e non solo recitata ed era insomma a tutti gli effetti "canzone".

Circa dieci anni dopo, non riscriverei mai un tema così. Scriverei semmai che, se proprio al signor Dylan vogliono dare un riconoscimento, che si inventino il premio nobel per la canzone, se no sarebbe un po' come dare il premio nobel per la medicina ad un fisico. Perché una canzone è qualcosa di completamente diverso da una poesia. Ha quell'elemento in più, che spesso nel caso dei cantautori, viene trascurato o liquidato facilmente come un supporto accessorio: la melodia, il ritmo che impone la metrica. La musica di una canzone dà respiro, espressività, costruisce un nuovo significato, dà nuovo spazio alle parole. "Un vecchio e un bambino si preser per mano / e andarono insieme incontro alla sera", letta così, un po' cantilenante, può sembrare una filastrocchina da bambini, come dice anche il suo autore in un'intervista, è la melodia che dà quel respiro in più che la fa elevare da poesia mediocre a bella canzone. Altra differenza non da poco, la musica rende possibile e piacevole la ripetizione dell'ascolto di una canzone molte volte di più di quanto si possa leggere e rileggere una poesia e abbiamo il vantaggio di poterla ascoltare direttamente dalla voce del suo autore. Leggerne il testo ci dà un'idea molto parziale della canzone, è come leggere una sceneggiatura di un film di quelli con molti effetti speciali...

La seconda delle difficoltà insite nella natura di questo sito è la barriera linguistica. Abbiamo sempre cercato, durante la raccolta delle canzoni, di dare spazio a voci da tutte le parti del mondo, per sottolineare il carattere internazionale dell'opposizione alla guerra, un rifiuto che per fortuna si ritrova tra persone di tutte le nazioni e di tutte le culture. Il lavoro delle traduzioni, spesso fatte in "esclusiva" per il sito grazie soprattutto alla competenza e alla passione di Riccardo, ha permesso di abbattere la barriera e di far conoscere così a molti le parole di canzoni che altrimenti non avrebbero mai capito. Stiamo provando, insomma, ad affrontare la seconda difficoltà, ma, credetemi, è un lavoro enorme!

Nel caso dei pezzi strumentali, come questo che sto qui presentando prendendola scandalosamente alla larga, se la prima difficoltà rimane ancora valida, la seconda sparisce come per incanto. Il linguaggio della musica è universale, supera le barriere linguistiche e culturali, e arriva dritto al cuore di chi sa ascoltare. Certo, anche questo non è del tutto vero, anche la musica risponde a dei canoni che derivano dalla cultura ed è difficile apprezzare la musica di paesi con culture che non ci sono familiari. Un'azzeccatissima battuta di Daniele Sepe sulla cosiddetta "musica araba" ne è un esempio, a noi ci sembra tutta uguale anche quando non lo è: "musica araba" non vuol dire niente, è come se uno a Tunisi sente un pezzo di Zucchero e dice "mi ricorda un po' Mozart"...
Diciamo allora che i confini entro i quali possiamo comunicare con la musica sono molto più ampi e facilmente varcabili di quelli delimitati dalla lingua, e, a pensarci, ha dell'incredibile che il nostro orecchio e il nostro cervello siano fatti in modo da tradurre in emozioni delle onde sonore e che la nostra sensibilità funzioni "in scala logaritmica". La musica è il modo migliore di apprezzare intuitivamente, attraverso l'arte, una proporzione matematica. Non l'ho detto io, e non so se chi l'ha detto l'ha detto proprio così, comunque è un fatto affascinante.

La copertina dell'album
La copertina dell'album

Tutta questa lunga introduzione servirebbe in realtà a presentare questo pezzo di Charlie Haden con la Liberation Music Orchestra. Contrabbassista jazz divenuto famoso per la collaborazione con Ornette Coleman, Haden ha costituito nel 1968 quest'ensemble che rappresenta un'esperienza più o meno unica nella musica jazz, un genere che raramente, sia pure con notevoli eccezioni, è stato coniugato esplicitamente a istanze politiche e di impegno civile. Attraverso questo collettivo di free jazz nel quale è sempre stato fondamentale l'apporto degli arrangiamenti della pianista Carla Bley, Haden si è avventurato su terreni ben poco battuti della musica jazz. Il primo album della Liberation Music Orchestra era interamente dedicato alla guerra di Spagna e conteneva superbi arrangiamenti di brani classici del repertorio dei repubblicani, come El Quinto Regimiento, accanto a riproposizioni di pezzi fondamentali nella storia americana come We Shall Overcome.

L'album del 2005, intitolato Not In Our Name, si rifà direttamente a quelle istanze, come è simboleggiato dallo striscione originale del '68 di nuovo immortalato in coertina. Il titolo riprende il motto del nuovo movimento pacifista americano, per ricordarci ancora una volta che esiste un'altra America, che non appoggia la guerra permanente e preventiva del presidente, che riconosce nei problemi di oggi le stesse questioni che nel 1968 riguardavano il Vietnam.
Haden lo spiega chiaramente nelle note del disco:

"We were hoping sanity and justice would prevail. They lost out to greed, cruelty and injustice. The machine won the election again by hook and by crook; the way it won in 2000

We want the world to know, howewer, that the devastation that this administration is wreaking is not in our name. It's not in the name of many people in this country.

This co brings Carla and me together full circle-thirty six years after we made the First Liberation Music Orchestra Recording in 1968 when the Vietnam War was raging. The issues remain, and our opposition to the inhumane treatment of this universe remain.

[...]

So now, although we lost the election, we have not lost the commitment to reclaim our country in the name of humanity and decency.

Don't give up -- the struggle continues!

Charlie Haden and Ruth Cameron"
L'album si snoda in otto brani freschi e orecchiabili anche al primo ascolto, evitando le strade del jazz più difficile e sperimentale, rimanendo nella tradizione delle big band ma contemporaneamente risulta innovativo, moderno ed interessante. Ma che non è un album di jazz "puro" si capisce subito dall'apertura, con un arpeggio di chitarra. La title track è seguita da una versione strumentale reggaeggiante e trascinante di "This is not America", scritta da Path Metheny e originariamente cantata da David Bowie. È stata scelta per il titolo, naturalmente: questa non è l'America, quello che "esporta democrazia" con le armi chimiche non è il paese che vogliamo, e alla fine spunta beffarda anche una citazione di "The Battle Hymn of the Republic"...

Tra gli altri brani, un medley intitolato "America The Beautiful" in cui la canzone patriottica viene ripresa probabilmente per rispondere alle accuse di "antipatriottismo" regolarmente riservate ai pacifisti statunitensi, questo invece è un disco completamente e orgoglisoamente americano.
Si rimane nella tradizione con Amazing Grace, per finire con una adagio per archi di sapore quasi classico.

Un gran disco, che consiglio vivamente, che riesce a presentare l'altra faccia degli Stati Uniti d'America e ci porta un pizzico di speranza... grazie Charlie!