13 aprile 2013

Autorità

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Nel 1961 lo psicologo statunitense Stanley Milgram ideò e condusse un celebre esperimento che si prefiggeva di studiare il comportamento di soggetti a cui un'autorità (nel caso specifico uno scienziato) ordina di eseguire delle azioni che confliggono con i valori etici e morali dei soggetti stessi.

L'esperimento cominciò tre mesi dopo l'inizio del processo a Gerusalemme contro il criminale di guerra nazista Adolf Eichmann. Milgram concepiva l'esperimento come un tentativo di risposta alla domanda: "È possibile che Eichmann e i suoi milioni di complici stessero semplicemente eseguendo degli ordini?".

I partecipanti alla ricerca furono reclutati tramite un annuncio su un giornale locale o tramite inviti spediti per posta a indirizzi ricavati dalla guida telefonica. Il campione risultò composto da 40 soggetti maschi fra i 20 e i 50 anni di varia estrazione sociale. Fu loro spiegato che avrebbero collaborato, dietro ricompensa, a un esperimento sulla memoria e sugli effetti dell'apprendimento.

Nella fase iniziale della prova, lo sperimentatore, assieme a un collaboratore complice, assegnava con un sorteggio truccato i ruoli di "allievo" e di "insegnante": il soggetto ignaro era sempre sorteggiato come insegnante e il complice come allievo. I due soggetti venivano poi condotti in due e stanze predisposte per l'esperimento. Insegnante e allievo potevano comunicare verbalmente ma non vedersi.

All'"insegnante" veniva chiesto di far memorizzare all'allievo varie coppie di parole (per esempio: "scatola azzurra", "giornata serena"). Durante l'interrogazione all'"allievo" veniva chiesto di associare alla seconda parola (ad esempio azzurra) la corrispondente prima parola da scegliere tra quattro possibili risposte (per esempio: auto, acqua, scatola, lampada). Ad ogni errore il soggetto doveva punire l'allievo usando scariche elettriche di intensità crescente usando 30 leve che andavano dai 15 volts a 450 volts.
Per dare un’idea, al soggetto veniva somministrata una scossa di 45 volts.

Sotto ogni gruppo di 4 interruttori apparivano le seguenti scritte: scossa leggera, scossa media, scossa forte, scossa molto forte, scossa intensa, scossa molto intensa, attenzione: scossa molto pericolosa.

Il complice sbagliava volontariamente ed il sogetto veniva esortato a spingere una leva. Ovviamente in realtà all'attore non veniva somministrata alcuna scossa. A 75 V il complice iniziava a gemere, a 150 V diceva di non voler continuare. A 270V iniziava a battere sul muro, a 330V smetteva di rispondere alle domande.

Lo sperimentatore aveva il compito, durante la prova, di esortare in modo pressante l'insegnante: "continui, per favore", "l'esperimento richiede che lei continui", "è assolutamente indispensabile che lei continui", "non ha altra scelta, deve proseguire".

Il grado di obbedienza fu misurato in base al numero dell'ultimo interruttore premuto da ogni soggetto prima che quest'ultimo interrompesse autonomamente la prova oppure, nel caso il soggetto avesse deciso di continuare fino alla fine, dopo che avesse somministrato per tre volte la scossa corrispondente al trentesimo interruttore.

I risultati dell'esperimento originale furono abbastanza sorprendenti. Malgrado le aspettative, secondo un sondaggio condotto tra psicologi e psichiatri, fossero che solo una piccola percentuale dei soggetti avrebbe continuato fino alla scossa massima, in realtà più del 60% dei soggetti somministrò la scossa di 450 V, nonostante quasi tutti mostrassero segni di stress e protestassero verbalmente.

In una variante (Esperimento 18), il soggetto svolgeva una funzione di assistente (come leggere le domande al microfono o trascrivere le risposte), mentre un altro attore somministrava le scosse. In questa variante 37 soggettti su 40 continuarono l'esperimento.


“L’estrema disponibilità di persone adulte a seguire fino all’estremo l’ordine di un’autorità rappresenta la principale scoperta di questo studio.”. (Milgram, 1976)
“L’ansia dimostrata dai soggetti durante l’esperimento fece apparire con chiarezza lo straordinario impatto dell’autorità: un campione di soggetti presumibilmente normali, di “brave persone”, era stato indotto ad andare contro i propri principi, accanendosi con una vittima che si lamentava, solo per eseguire un ordine che veniva dall’autorità”. (Miller, 1986)

12 gennaio 2013

L'ultimo Guccini



Nella mia generazione siamo in tanti ad essere cresciuti con le canzoni di Francesco Guccini. Le sue parole ci hanno accompagnato da ben prima che riuscissimo a capirle, le abbiamo riscoperte a poco a poco, abbiamo rivissuto tante volte quelle storie, quelle malinconie, quelle passioni.

Certo, gli anni passano, e ultimamente il nostro Guccini si è un po' perso (o è la nostra idea di Guccini che s'è persa?), in mezzo ai Fazio e ai Saviano, tra i gialli di un Santovito che non è Montalbano, sempre più ritirato, sempre più pavanese e meno bolognese, la chitarra barattata per una penna, le osterie fuori porta ormai definitivamente chiuse.

Il nuovo disco eternamente rimandato mi ha colto quasi di sorpresa e senza grandi aspettative. Ma quella dichiarazione perentoria, "niente più dischi e niente più concerti", mi ha molto colpito, quasi segnasse la fine di un'epoca.

Allora, mi sono detto, quel concerto a Prato del 18 settembre 2001 (e doveva tenersi una settimana prima!) è stata veramente la mia "ultima volta".  Francesco, capisco l'età, capisco che il fisico e la voce non siano più quelli di un tempo... ma un ultimo concerto per chiudere in bellezza? Eppure il tuo quasi coetaneo Mick Jagger era a Londra qualche tempo fa a saltare come un dannato per celebrare i cinquant'anni degli Stones. Francesco, altro che erba che cresce tutt'attorno, passa alle droghe pesanti e questo concerto d'addio faccelo... anche da seduto...

Ma forse hai ragione. A questo punto meglio fermarsi. Però credo che qualche riga su quest'ultimo disco la devo proprio scrivere, dato che secondo me è il migliore dai tempi di "D'amore, di morte e di altre sciocchezze" che risale al lontano 1996.

Canzone di notte n.4
Sarebbe una delle migliori ma ha due difetti. Il primo è di essere troppo lunga, anche per gli standard gucciniani. Al quarto minuto l'attenzione tende a calare e non si seguono più le riflessioni notturne, in bilico tra passato e presente, rimane solo quel senso di nostalgia che pervade tutto l'album.
"Una volta non passava giorno che non suonassi la chitarra, ora non so neanche se ne sono ancora capace (se mai lo sono stato)". In questa canzone si avverte bene il rimpianto per la "religione del tirare tardi e aspettare mattino".
Il secondo difetto? il siparietto all'inizio, recitato un po' male e tutto sommato evitabile...

L'ultima volta
La... prima volta che l'ho ascoltata non m'è piaciuta, mi è sembrata quasi una caricatura di una canzone di Guccini. Poi l'ho riascoltata meglio, e - nella sua semplicità - è uno dei miei brani preferiti dell'album. Certo il tema dell'ultima volta che nella vita si fa una cosa anche banale (o meno banale come assistere a un concerto di Guccini...) è tipicamente gucciniano, e il verso da aggiungere alla fine proposto da Juan Carlos Biondini "e toccarsi ben bene le palle" è quanto mai appropriato.

Su in collina
Il testo non mi convince troppo, forse nella traduzione dal bolognese all'italiano s'è persa un po' di poesia. Così sembra uno dei tanti brani dedicati alla Resistenza da vari gruppi folk/rock... e non tra i migliori. La musica non aggiunge molto, l'arrangiamento con la ghironda (che per i profani suona come una cornamusa) è invece molto bello. Ascoltate anche la bella versione dei Gang, che la trasformano in una tipica canzone dei fratelli Severini.

Quel giorno d'aprile
Bisogna riconoscere stavolta a Beppe Dati di avere composto una melodia tra le più belle dell'album. Anche il testo si distanzia finalmente da quel manierismo e da quell'ingenuità delle varie Cirano e Don Chisciotte. Non so quanto il racconto sia autobiografico e se il padre di Guccini sia stato soldato in Russia, ma sicuramente è stato prigioniero in Germania ed è tornato a casa guerra finita. L'orrore della guerra negli incubi da reduce (i "compagni coperti di neve" auto-censurati nella lettera al figlio per proteggerlo) la televisione che assopisce le coscienze ("l'anima dorme davanti a una scatola vuota") e fa dimenticare gli ideali e le speranze di un'Italia liberata ("dentro di noi troppo in fretta ci allontana quel giorno d'aprile") sono temi importanti appena accennati in versi di una rara sensibilità e bellezza.

Il testamento del pagliaccio
La canzone "politica" dell'album, dove il pagliaccio rappresenta - sembra - il cittadino italiano medio "intossicato da sogni vani di democrazia" che ricade nell'incubo dell'Italia berlusconiano-fascista ("un onesto mafioso riciclato, un duro, puro e cuore di nostalgico travestito da vero democratico...") . Il pezzo risulta gradevole e divertente (cantando in gregoriano un "marameo" è geniale) ma un po' troppo legato alla politica con la p minuscola dei politicanti italiani, e può già risultare datato. Nonostante l'andamento un po' da Don Raffaé non ha proprio niente della lezione di De André.

Notti
Molto gucciniana, anche se non l'ha scritta lui, ben cantata e ben suonata, con una coda quasi pop. Non sarà certo ricordata tra i capolavori del Guccio, ma a me è piaciuta.

Gli Artisti
Qualcuno l'ha definita il pezzo forte del disco. Sarà... a me è sembrata tra le cose più brutte cantate dal nostro (ovviamente Cristoforo Colombo è fuori concorso). Il tema dell'artista come "umìle artigiano" era già stato sviscerato (da "non queste mie di fil di ferro e spago" a "io non artista, solo piccolo baccelliere") e questi versi proprio non mi convincono. E poi, lo scandalo. Ricordo che stiamo parlando uno che aveva fatto rimare "amare" (inteso come aggettivo femminile plurale) con "Schopenauer". Ecco, ora alle prese con un penultimo verso che recita "un grappolo d'illusioni che svaniscono dalla memoria", termina con "e non restano nella...". Nella...? Certo "storia" sarebbe stato scontato, ma "memoria" è ancora peggio! Come si fa a fare rimare "memoria" con "memoria"!?! Qui, Francesco, mi hai profondamente deluso.

L'Ultima Thule
Il brano che riassume tutto il disco, lo specchio dell'animo di Guccini di oggi. Un testamento artistico coerente con quello che ha sempre cantato: "E qui da solo penso al mio passato/ vado a ritroso e frugo la mia vita" ma già mille anni prima aveva detto "Cantare il tempo andato sarà il mio tema", tanto che non stonano le autocitazioni ("se morivo più forte rinascevo" - ai tempi di Piccola Città - e gli "amici andati" di Lettera). Musicalmente "celticheggiante" e con un'ultima quartina che lascia senza parole:
L’Ultima Thule attende e dentro il fiordo
si spegnerà per sempre ogni passione,
si perderà in un’ultima canzone
di me e della mia nave anche il ricordo.

Che dire, Francesco, sono certo che ti sbagli e saremo in molti a non dimenticarti.