Allora, è il 1980, ho 30 anni e sto guidando attraverso l’America con un
amico, e ci fermiamo a fare benzina in un negozietto di una piccola
città, e frugando in uno scaffale di libri tascabili, mi imbatto in un
libro intitolato “Nato il 4 Luglio” di un veterano del Vietnam di nome
Ron Kovic. Questo libro è la testimonianza dell’esperienza vissuta da
Ron come soldato nel sud est asiatico.
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Una o due settimane dopo sono a dormire al favoloso Sunset Marquis
Motel a Los Angeles. Ah, per chi non lo sapesse, si tratta una specie di
ritrovo di lusso, ehm, di bassa lega, per rockstar, ok? Eh, si dice
sempre, com’è piccolo il mondo. Ecco la dimostrazione ancora una volta
che il mondo è piccolo. Avevo notato da alcuni giorni un tipo giovane
con i capelli lunghi fino alle spalle che stava seduto su una sedia a
rotelle accanto alla piscina. Così un pomeriggio mi si avvicina e mi fa:
“Ciao, sono Ron Kovic. Ho scritto un libro intitolato Nato il 4
luglio”. E io risposi “Gesù, l'ho appena letto, e mi ha distrutto”. Così
passò il pomeriggio a raccontarmi dei tanti veterani che lottavano con
un’infinità di problematiche e mi chiese se avessi voglia di fare un
giro con lui al centro veterani a Venice per incontrare alcuni soldati
della California meridionale. Gli dissi, certo che sì, cosi il giorno
dopo ci dirigemmo laggiù. Di solito io sono piuttosto socievole con le
persone, ma una volta al centro non sapevo come comportarmi davanti a
quello che vedevo. Parlare della mia vita a questi ragazzi sembrava così
frivolo. C’erano problemi di senzatetto, problemi di droga e stress
post traumatico, c’erano ragazzi della mia età che dovevano affrontare
ferite fisiche invalidanti che ti cambiano la vita, e tutto questo mi ha
fatto pensare ai miei amici, là nel New Jersey, a Walter Cichon.
Walter Cichon
era il più grande frontman di una band di rock’n’ roll sulla costa del
New Jersey negli anni ‘60. Faceva parte di un gruppo che si chiamava The
Motifs, ed è stata la prima rockstar che abbia mai visto con i miei
occhi. Ce l’aveva proprio nelle ossa, ce l’aveva nel sangue, nel modo di
comportarsi. Sul palco era semplicemente micidiale. Era genuino, e
sensuale, e pericoloso, e dalle nostre parti, ci ha insegnato con il
modo in cui viveva, che potevi vivere la vita che avevi scelto, potevi
vestirti come volevi, potevi suonare la musica che volevi suonare,
potevi essere quello che volevi essere, e potevi dire a chiunque a cui
la cosa non piacesse di andare a farsi fottere. Walter aveva un fratello
che suonava la chitarra, Raymond. Raymond era alto, uno di quei tipi un
po’ goffi ma teneri, uno di quei tipi grandi e grossi che non sono a
loro agio con le loro dimensioni. Sbatteva sempre da qualche parte
dovunque si trovasse e ovunque fosse, per una ragione o l’altra non
c’era mai abbastanza spazio per Raymond. Ma, ma poi stranamente era
sempre vestito impeccabilmente, sapete, con una camicia pastello,
colletto a punta, pantaloni in pelle di squalo, calzini di nylon, scarpe
a punta striate tirate a lucido, capelli neri tirati all’indietro con
un ricciolino che gli scendeva sul viso quando suonava la chitarra.
Quando suonava la chitarra Raymond era il mio eroe. E di giorno era solo
un venditore di scarpe. E Walter, Walter credo che lavorasse
nell’edilizia... e avevano pochi anni più di noi. Non avevano mai inciso
un successo a livello nazionale. Nessun grande tour. Ma per me erano
degli dei. E, oh, le ore che ho passato davanti alla loro band, a
studiare, studiare, studiare, lezione dal vivo, una notte dopo l’altra, a
guardare le dita di Ray che volavano sulla tastiera della chitarra e
Walter che faceva cacare sotto la folla. Capite sono stati fondamentali
per la mia crescita come giovane musicista. Ho imparato così tanto da
Walter e da Ray. E il mio sogno era di suonare come Ray e di camminare
come Walter.
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E poi c’era
Bart Haynes.
Bart Haynes era il batterista della mia prima band, The Castilles. E’
stato il primo vero batterista con cui ho suonato. Era un ragazzo
incredibilmente divertente, il classico pagliaccio della classe, era un
batterista bravo bravo, ma con una particolare stranezza – non sapeva
suonare "
Wipe Out" dei
Surfaris.
Adesso per voi questo potrebbe sembrare qualcosa di non esattamente
cruciale, lo capisco, ma a quei tempi, le tue abilità, la tua tempra, la
tua autostima come batterista e come essere umano era testato davanti
ai tuoi coetanei una volta ogni sera dalla tua interpretazione di "Wipe
Out". Bart sapeva suonare qualsiasi altra cazzo di cosa, ma quando si
trattava di "Wipe Out" – era al di là delle sue capacità. Una cosa
tragica, capite.
Un giorno se ne andò, se ne andò dal panchetto della batteria, si
arruolò nei Marines, poi, Walter e Bart, tutti e due furono uccisi in
guerra nel 1967 e 1968. Bart è stato il primo giovane della nostra città
a dare la vita in Vietnam. Per questo, davvero, non sapevo cosa dire ai
ragazzi che stavo incontrando a Venice. Sono rimasto seduto per gran
parte del pomeriggio e mi sono limitato ad ascoltare. Poi nel 1982 ho
scritto e inciso la mia storia del soldato. Era una canzone di protesta,
il blues del soldato. Le strofe raccontavano gli eventi, il ritornello
era una dichiarazione del posto dove sei nato e del diritto a tutto il
sangue e la confusione e l’orgoglio e la vergogna e la grazia che si
accompagna al posto dove sei nato.
Nel 1969
Mad Dog,
Little Vinnie
ed io eravamo stati arruolati nello stesso giorno. Tutti e tre. Siamo
andati insieme all'ufficio del servizio di leva a bordo quello che era
probabilmente l’autobus più triste che sia mai partito da Asbury Park.
Perché eravamo sicuri di essere diretti verso il nostro funerale.
L’avevamo già visto, e molto da vicino. E quando arrivammo alla
commissione di reclutamento di Newark facemmo tutto il possibile per non
partire. E ci riuscimmo, tutti e tre. Quando vado a Washington e faccio
una pausa per andare a trovare Walter e Bart, sono felice che il nome
di Mad Dog, di Vinnie e, per quel che conta, il mio nome, non siano su
quel muro, ma era il 1969 e ancora migliaia e miglia di giovani
sarebbero stati chiamati, e in pratica sacrificati, solo per salvare la
faccia delle autorità, che a quel punto sapevano già, lo sapevano che
era una causa persa. E ancora migliaia e migliaia di altri giovani.
Allora... allora talvolta mi chiedo a chi sia toccato partire al mio
posto. Perché a qualcuno di sicuro è toccato.
introduzione a Born in the U.S.A. tratta da "Springsteen on Broadway"