21 febbraio 2019

Un nome su un muro




Allora, è il 1980, ho 30 anni e sto guidando attraverso l’America con un amico, e ci fermiamo a fare benzina in un negozietto di una piccola città, e frugando in uno scaffale di libri tascabili, mi imbatto in un libro intitolato “Nato il 4 Luglio” di un veterano del Vietnam di nome Ron Kovic. Questo libro è la testimonianza dell’esperienza vissuta da Ron come soldato nel sud est asiatico.

Ron Kovic Una o due settimane dopo sono a dormire al favoloso Sunset Marquis Motel a Los Angeles. Ah, per chi non lo sapesse, si tratta una specie di ritrovo di lusso, ehm, di bassa lega, per rockstar, ok? Eh, si dice sempre, com’è piccolo il mondo. Ecco la dimostrazione ancora una volta che il mondo è piccolo. Avevo notato da alcuni giorni un tipo giovane con i capelli lunghi fino alle spalle che stava seduto su una sedia a rotelle accanto alla piscina. Così un pomeriggio mi si avvicina e mi fa: “Ciao, sono Ron Kovic. Ho scritto un libro intitolato Nato il 4 luglio”. E io risposi “Gesù, l'ho appena letto, e mi ha distrutto”. Così passò il pomeriggio a raccontarmi dei tanti veterani che lottavano con un’infinità di problematiche e mi chiese se avessi voglia di fare un giro con lui al centro veterani a Venice per incontrare alcuni soldati della California meridionale. Gli dissi, certo che sì, cosi il giorno dopo ci dirigemmo laggiù. Di solito io sono piuttosto socievole con le persone, ma una volta al centro non sapevo come comportarmi davanti a quello che vedevo. Parlare della mia vita a questi ragazzi sembrava così frivolo. C’erano problemi di senzatetto, problemi di droga e stress post traumatico, c’erano ragazzi della mia età che dovevano affrontare ferite fisiche invalidanti che ti cambiano la vita, e tutto questo mi ha fatto pensare ai miei amici, là nel New Jersey, a Walter Cichon.

The MotifsWalter Cichon era il più grande frontman di una band di rock’n’ roll sulla costa del New Jersey negli anni ‘60. Faceva parte di un gruppo che si chiamava The Motifs, ed è stata la prima rockstar che abbia mai visto con i miei occhi. Ce l’aveva proprio nelle ossa, ce l’aveva nel sangue, nel modo di comportarsi. Sul palco era semplicemente micidiale. Era genuino, e sensuale, e pericoloso, e dalle nostre parti, ci ha insegnato con il modo in cui viveva, che potevi vivere la vita che avevi scelto, potevi vestirti come volevi, potevi suonare la musica che volevi suonare, potevi essere quello che volevi essere, e potevi dire a chiunque a cui la cosa non piacesse di andare a farsi fottere. Walter aveva un fratello che suonava la chitarra, Raymond. Raymond era alto, uno di quei tipi un po’ goffi ma teneri, uno di quei tipi grandi e grossi che non sono a loro agio con le loro dimensioni. Sbatteva sempre da qualche parte dovunque si trovasse e ovunque fosse, per una ragione o l’altra non c’era mai abbastanza spazio per Raymond. Ma, ma poi stranamente era sempre vestito impeccabilmente, sapete, con una camicia pastello, colletto a punta, pantaloni in pelle di squalo, calzini di nylon, scarpe a punta striate tirate a lucido, capelli neri tirati all’indietro con un ricciolino che gli scendeva sul viso quando suonava la chitarra. Quando suonava la chitarra Raymond era il mio eroe. E di giorno era solo un venditore di scarpe. E Walter, Walter credo che lavorasse nell’edilizia... e avevano pochi anni più di noi. Non avevano mai inciso un successo a livello nazionale. Nessun grande tour. Ma per me erano degli dei. E, oh, le ore che ho passato davanti alla loro band, a studiare, studiare, studiare, lezione dal vivo, una notte dopo l’altra, a guardare le dita di Ray che volavano sulla tastiera della chitarra e Walter che faceva cacare sotto la folla. Capite sono stati fondamentali per la mia crescita come giovane musicista. Ho imparato così tanto da Walter e da Ray. E il mio sogno era di suonare come Ray e di camminare come Walter.

 Bart Haynes The CastilesE poi c’era Bart Haynes. Bart Haynes era il batterista della mia prima band, The Castilles. E’ stato il primo vero batterista con cui ho suonato. Era un ragazzo incredibilmente divertente, il classico pagliaccio della classe, era un batterista bravo bravo, ma con una particolare stranezza – non sapeva suonare "Wipe Out" dei Surfaris. Adesso per voi questo potrebbe sembrare qualcosa di non esattamente cruciale, lo capisco, ma a quei tempi, le tue abilità, la tua tempra, la tua autostima come batterista e come essere umano era testato davanti ai tuoi coetanei una volta ogni sera dalla tua interpretazione di "Wipe Out". Bart sapeva suonare qualsiasi altra cazzo di cosa, ma quando si trattava di "Wipe Out" – era al di là delle sue capacità. Una cosa tragica, capite.

Un giorno se ne andò, se ne andò dal panchetto della batteria, si arruolò nei Marines, poi, Walter e Bart, tutti e due furono uccisi in guerra nel 1967 e 1968. Bart è stato il primo giovane della nostra città a dare la vita in Vietnam. Per questo, davvero, non sapevo cosa dire ai ragazzi che stavo incontrando a Venice. Sono rimasto seduto per gran parte del pomeriggio e mi sono limitato ad ascoltare. Poi nel 1982 ho scritto e inciso la mia storia del soldato. Era una canzone di protesta, il blues del soldato. Le strofe raccontavano gli eventi, il ritornello era una dichiarazione del posto dove sei nato e del diritto a tutto il sangue e la confusione e l’orgoglio e la vergogna e la grazia che si accompagna al posto dove sei nato.

Nel 1969 Mad Dog, Little Vinnie ed io eravamo stati arruolati nello stesso giorno. Tutti e tre. Siamo andati insieme all'ufficio del servizio di leva a bordo quello che era probabilmente l’autobus più triste che sia mai partito da Asbury Park. Perché eravamo sicuri di essere diretti verso il nostro funerale. L’avevamo già visto, e molto da vicino. E quando arrivammo alla commissione di reclutamento di Newark facemmo tutto il possibile per non partire. E ci riuscimmo, tutti e tre. Quando vado a Washington e faccio una pausa per andare a trovare Walter e Bart, sono felice che il nome di Mad Dog, di Vinnie e, per quel che conta, il mio nome, non siano su quel muro, ma era il 1969 e ancora migliaia e miglia di giovani sarebbero stati chiamati, e in pratica sacrificati, solo per salvare la faccia delle autorità, che a quel punto sapevano già, lo sapevano che era una causa persa. E ancora migliaia e migliaia di altri giovani. Allora... allora talvolta mi chiedo a chi sia toccato partire al mio posto. Perché a qualcuno di sicuro è toccato.

introduzione a Born in the U.S.A. tratta da "Springsteen on Broadway"
 

5 commenti:

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